LA MAGIA NERA (1936) di René Magritte
Uno dei quadri icona di Magritte è quel grande occhio spalancato nel cielo, o al contrario il cielo che si specchia nell'organo della vista, intitolato falso specchio, piaciuto talmente a Luis Bunuel da riprenderlo, per la sua ambiguità, come una scena madre ancora più raccapricciante dell'originale, nel suo film "Un chien andalou".(dal web)
Ne LA MAGIA NERA il cielo si fa un tutt'uno con la metà superiore della donna. Immersa però nella realtà della materia, della terra con la sua metà inferiore. Un ritratto del nostro essere: Pensiero e Cuore e Carne. Che si spingono in alto ed all'Oltre, al di la della concretezza del nostro essere: sostanza fisica.
A spaziare verso la sostanza intellettiva e spirituale.
Un oltre che è vivo nella tensione meditativa dell'immagine.
Si è spinti ad andare, con la vista, al di là del muretto.
Un invito a superare con la ragione i limiti del nostro sapere e con il cuore i limiti del pensare razionale.
Per giungere così all'orizzonte che pare irraggiungibile. Incontro di mare e cielo. Incontro di ragione e cuore.
Osservando il dipinto, serve sia quasi applicata un'attenzione che superi i limiti delle distrazioni del visus. Che tende a fermarsi allo spazio raccolto in cui il corpo carneo si stabilizza.
Il quadro sembra raccontare degli elementi della vita: Sensi fisici e forme mentis. Liberi e sciolti nello spazio, che però si amalgamano tra loro facendo un'unità. Nella figura umana e tra gli elementi della natura. C'è un dire di sogno ed idealismo che si alza all'Infinito e scende alla poesia del vivere.
Questo quadro mi appare immagine che, oso dire, sembra ritrarre il pensiero Leopardiano dell'Infinito.
La concretezza delle cose, del corpo, del muro, della parete, della pietra sono sostegno del giorno per giorno ed un limen visivo che viene superato dall'interiorità.
Che spazia verso l'ultimo orizzonte.
Gustando intimamente la voce dell' Eterno che si esprime nella vocalità dell'aria, della brezza marina, della quiete del cielo, dell'andare delle nubi. Nell'andare e nel ritorno delle onde del mare.
Lo sguardo della donna, sereno ma malinconico, volge al basso.
Pare guardare alla realtà contingente del proprio essere qui, in uno spazio. Ora, ancora, immersa in un tempo.
Mesto e muto si avvolge della carnalità di un corpo che si integra pienamente al paesaggio color caldo terra. Una terra che si fa sostegno. Del nostro essere Corpo, del nostro essere Terra, del nostro essere attimo del vivere, fisicità.
Ma che si espone al non concretamente sensibile, se non con sensi che superino la sensibilità recettoriale organica. Si immerge nel cielo.
E' un quadro che, per me, riassume lo stato dell' Essere.
Il nostro trovarci qui nella vita ma in una tensione all'Oltre di noi, verso il Tutto dubbio, ignoto, da scoprire.
Il nostro essere corpo e spirito; realtà e voglia di superamento della stessa. Il nostro vivere l'oggi nella speranza del domani. Il nostro essere pensiero e pensieri che, ascoltando l'Infinito, facendosi penetrare da Esso, vengono a farsi quasi illusione cui porre i nostri intimi "perchè".
Il surrealismo è molto lucido e attento sulla realtà che lo circonda, dove non trovano spazio deciso il sogno o le pulsioni inconsce. Come invece avviene in un Dalì, in cui vi è esasperazione onirica o egocentrica.
In Magritte l'illusione è, quasi, un dare senso ancor più compiuto alla percezione della realtà. L'unico desiderio che la sua pittura sembra manifestare è quello di "sentire il silenzio del mondo", come egli stesso scrisse. Che permette di sentire la Parola del e nel silenzio. Tra questi due confini, di concretezza e di ovattato innalzarsi ad un oltre il normale percettibile, nascono altre opere di Magritte. Quasi sempre ritraenti contesti paradossali, illogici e capaci di ingannare la percezione degli oggetti che vengono colti dalla visione che ne dà la nostra psiche ed anima. Le sue opere parlano, così, del suo essere un uomo che ha sfogato in esse il suo essere: eversivo, controcorrente, ribelle, rivoluzionario, anticonformista, innovatore. Un uomo che, nella sua quotidianità, è stato invece un semplice borghese conservatore. Trascorse una sua vita tranquilla e piuttosto regolare e sempre accanto alla stessa donna. Un uomo come tutti. Esempio di belle contraddizioni che ne designano la ricchezza di quelle personalità che sanno, ogni giorno, trovare il senso per arrendersi all'Immensità dell'ignoto, pur nella forza del "non arrendersi" alla concretezza del vivere. Dicendo intimamente: "E il naufragar m'è dolce in questo mare".
Elisa ©
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
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